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Pasqua nell’Irpinia minore – seconda parte

da Serena Fiorentino
344 letture Vallata (AV)

Vallata

06.04.2023 Vallata (AV)
Parcheggiamo in centro, tra auto e pullman. La messa vespertina in Coena Domini durante la quale si compie il rito della “lavanda dei piedi” in ricordo dell’ultima cena inizia alle 18. Se vogliamo assistervi dobbiamo affrettarci. Appena smontiamo dal nostro fido Odisseo ci si avvicina un ragazzone con al collo, ben visibile, un cartellino che riporta la scritta “Staff”. Da tipici camperisti italici ci aspettiamo già di essere malamente invitati ad andarcene dal parcheggio che non è riservato ai camper. Invece sorride, ci dà il benvenuto e ci invita a disporre di lui e dei suoi colleghi per qualsiasi necessità. La genuinità e l’accoglienza di questa gente ben dispone già dal primo momento ed è impagabile. Assistiamo alla cerimonia religiosa in una Chiesa gremita e piacevolmente calda a dispetto del gelo che attanaglia le strade del paese. Dopo la messa, seguiamo la suggestiva processione aux flambeaux che, al lume delle torce, mette in scena la cattura, la condanna e la flagellazione di Cristo. L’atmosfera è teatrale e carica di passione. La luce del fuoco colora le strade buie e i suoni mesti della banda accompagnano folle commosse.


“Vallata mi è cara e mi è cara la sua processione. Quando sono in zona cerco di non mancare. Mi piacciono i canti dei tenori, mi commuove vedere gli anziani seduti in attesa che passi la processione.” (Franco Arminio)

7.03.2023 Vallata (AV) – Caposele (AV)
Alla sveglia ci pensano i giovani che si preparano alla processione del Venerdì Santo, vestendosi, tra risate e chiacchiere ad alta voce, da soldati romani in costume da littore o da centurione, sfidando il freddo ancora pungente della primavera che tarda ad arrivare qui, a quota 870 metri sul livello del mare. Al corteo sfilano più di 200 figuranti, in un’atmosfera difficilmente descrivibile, che racconta una tradizione antichissima di commossa riflessione, accompagnata dal passo cadenzato al ritmo di tromba e tamburo. Ci si incammina lungo le strade del paese, in un dondolio pacato e di una lentezza quasi snervante. Il corteo impiega quasi tre ore per percorrere non molte centinaia di metri. Si procede lenti, si medita, si segue il passo sollecitato da alcuni cantori che cantano i versi settecenteschi della “Passione di Gesù Cristo” di Pietro Metastasio. Assistendo al passaggio dei figuranti e seguendone il percorso, ci si immerge totalmente in un magico momento di incontro tra religiosità e tradizione, che condensa il misticismo e l’unicità di una delle più antiche e suggestive rappresentazioni del Mezzogiorno d’’Italia.


Come direbbe il poeta i cui versi ci hanno condotti fin qui, “Sacro” è prendere parte a tutto ciò. “Sacro Era il pane bagnato con lo zucchero, Sacre le voci sanguinose delle vecchie La sera del Venerdì Santo.” (Franco Arminio, Sacro Minore).

sorgenti del fiume Sele

Nel pomeriggio ci avviamo verso le sorgenti del fiume Sele. Abbiamo voglia di verde e d’azzurro e ancora verde e ancora azzurro; tra boschi e pascoli, uliveti e campi coltivati, questa terra dagli orizzonti emozionanti, all’ombra del verde dei monti, ci sta cullando e coccolando e riempiendo gli occhi di una bellezza senza tempo. Giungiamo a Caposele poco prima del tramonto e cominciamo a spiare il paese in silenzio, con la riservatezza e il rispetto che esige un luogo che ha avuto la forza di rialzarsi e di ricominciare a vivere dopo l’immane tragedia che lo ha devastato il 23 novembre del 1980.
Lo scorrere dell’acqua accompagna ogni nostro passo risuonando sotto i nostri piedi, sotto le strade, attraverso le fontane, accanto alle case. Il suo rumore ci accompagna fin dentro la chiesa di San Lorenzo: un tempio artistico, un’opera architettonica sorprendente che dà l’impressione di fluire nei voluminosi vortici del soffitto. Alzando gli occhi verso la volta si ha la sensazione di un mulinare vorticoso, sinuoso e fragoroso come acqua che scorre e dona vita. Caposele conta tremila abitanti o poco più, forti, resilienti, abbracciati all’ombra dei monti con lo sguardo che si perde lontano. E noi ci immergiamo in questo scorrere lento e orgoglioso, perchè, come dice Franco Arminio “Sacro arrivare in un paese E spiarlo con tenerezza” (Franco Arminio, Sacro Minore)

8.04.2023 Caposele (AV)
Godere di questo paesino nel Parco dei monti Picentini al risveglio rigenera lo spirito. La ricchissima presenza di acqua si fa ancora più imperante quando varchiamo, insieme a Mirko (guida di visitcaposele.it), l’ingresso delle strutture dell’Acquedotto Pugliese Spa per conoscerne la storia e le sorprendenti qualità tecniche. Sotto i nostri piedi e sotto i nostri sguardi attenti, corrono 5000 litri d’acqua al secondo, impetuosi, prorompenti, rumorosissimi a coprire addirittura le nostre voci.

Siamo nel cuore di una delle opere d’ingegneria idraulica più incredibili d’Europa, tra gli acquedotti più lunghi del mondo. L’acqua che sgorga da qui termina con la cascata incorniciata nella scala monumentale di Santa Maria di Leuca. Beviamo acqua di sorgente, freschissima, limpida, pura. Poi ci dirigiamo verso il museo delle acque e quello delle macchine di Leonardo Da Vinci.

Matassa con i ceci – trattoria La Sorgente – Caposele

Tra una visita e l’altra, un vagare e un ritrovarsi, un piatto di matassa con i ceci e un bicchiere di Aglianico senza solfiti, non è difficile ingannare il tempo che ci separa dall’appuntamento delle 18:00, quando finalmente avremo modo di conoscere Franco Arminio, i cui versi ci hanno condotti fin qui. Il paesologo ci attende nella sala ottagonale al primo piano di Casa Huston, sede del museo. Quando gli raccontiamo del nostro viaggio “delle acque” a ritroso lungo il percorso dell’acquedotto da Santa Maria di Leuca a Caposele, sorride divertito: probabilmente anche questo nostro ramingare è “Sacro”. La sala è gremita nonostante la pioggia fitta da più di un’ora stia inzuppando questa terra già colma d’acqua. Nella sala si parla di paesi, di lontananze, del sopravvivere difficile delle comunità, ci si interroga su ciò che è rimasto di questi luoghi: probabilmente solo “gli infissi e dietro gli infissi non c’è nessuno”. Alcuni passi di alcune poesie tracciano solchi indelebili in questa serata: “I paesi si salvano con gli occhi. Prima bisogna guardarli, come un uomo giovane guarda una donna bellissima. Poi viene il resto: accogliere i turisti, coltivare, allevare, curare gli infermi, educare i bambini al paesaggio. Stare in un paese è camminare all’aperto, è vedere le cose e le persone che stanno fuori.”

Franco Arminio firma la sua dedica per Serena Fiorentino

Riflettiamo insieme sull’importanza della sacralità, della poesia e su quanto siano preziose le persone e i luoghi feriti (nel caso degli irpini da un tragico terremoto) che sanno trasformarsi in enormi contenitori di energia, di forza, di umanità e di accoglienza.
“Io guardo ogni cosa come se fosse bella. E se non lo è vuol dire che devo guardare meglio”. (Franco Arminio-La cura dello sguardo)

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